Il titolo
appartiene a un tango chiamato “Maquillaje” di Homero Expósito. E ci viene in mente quando si possono leggere articoli come
quello di Michael Boye, dove l’autore dice sulla nuova
Argentina di Macri:
“La
nuova amministrazione ha ottenuto risultati significativi nella trasformazione
della vecchia economia corrotta e protezionista, gettando
le fondamenta per iniziative “business friendly” capaci di stimolare la
crescita futura.”
Seguendo l’impostazione di “gossip” che più
piace allo establishment, a dire la verità il governo Macri piuttosto che
“trasformare la vecchia economia corrotta”, si è distinto sulle copertine delle
riviste internazionali per gli scandalosi casi di corruzione per i cosidetti
“Panama Papers” e - anche se meno conosciuto – per il caso della compagnia
aerea Avianca dove il governo ha ritirato dalla compagnia di bandiera rotte
nazionali a favore di compagnie private “amiche”. Dunque, ben lungi dalla “trasformazione
della vecchia economia corrotta”, il governo Macri ne è stato nei fatti un approfondimento.
L’autore sembra anche dimenticare – non sappiamo
se di proposito o meno – che le ristrutturazioni del 2005 e 2010 del debito in default
comportarono l’accordo con più dei 93% dei detentori del debito. Il “default
tecnico” con i cosidetti “fondi avvoltoio”, invece, non solo ha riguardato una
minoranza dei detentori originali, ma è importante anche ricordare che questi detentori
(definiti holdouts, perché restavano al di fuori delle ristrutturazioni)
non sono i proprietari
originali dei titoli, ma coloro che li comprarono a prezzi stracciati dopo la
dichiarazione di default nel 2002 e che dopo hanno preteso il rimborso ai
valori originali. Per dare una idea al lettore, questi fondi di investimento hanno
comprato titoli a 25 centisimi per dollaro, richiedendone il rimborso a quattro
dollari. Alla fine, questo 7% di detentori di titoli argentini ha ricevuto un
montante totale uguale al 50% del valore ricevuto dal restante 93% dei detentori
che avevano accettato le precedenti ristrutturazioni. È difficile forse trovare
altri casi storici di speculazione di questo calibro.
Andiamo alla macroeconomia, dunque. Il governo
Macri comincia nella metà di dicembre 2015 con una forte svalutazione della
moneta nazionale (peso) del 60%, dando luogo a una bruttale ridistribuzione del
reddito dai lavoratori ai produttori e esportatori agricoli. (Si veda una
caratterizzazione abbastanza accurata per Naked Keynesianism qui) Inoltre la politica fiscale e di
tassazione sono state regressive, dunque tagli alle imposte che pagavano gli
esportatori di commodities e meno
dazi per i consumatori di autoveicoli di lusso importati.
La realtà argentina è nel complesso
molto diversa e assai meno rosea da come la dipinge il signor Boye. I
“risultati” del nuovo governo nel 2016 sono un totale disastro, in quasi tutti
gli indicatori: il PIL è caduto di -2,3 %, mentre che la disoccupazione è aumentata
di 127.000 individui, portando circa 5000 imprese al fallimento. La tendenza
per il 2017 non sembra essere diversa dall’anno scorso, come è confermato dagli
indicatori di produzione industriale di febbraio 2017. Il tasso di inflazione,
che nel 2015 era stato di 25%, è salito al 41% nel 2016, e quindi i salari
reali sono crollati di circa il 7-8% in media.
Sul fronte estero, l’apertura
indiscriminata ha fatto salire le importazioni (+5,4%), mentre le esportazioni (+3,7%)
non crescono al livello sufficiente in seguito alla crisi dei soci commerciali
più importanti come il Brasile che ha sofferto una politica economica
ferocemente restrittiva di domanda negli due ultimi anni (-2% e -%5
rispettivamente). Anche la chiusura di alcuni mercati come quelli delle
esportazioni di citrici negli Stati Uniti nonchè il lento ristabilimento di
esportazi di carni.
Fonte: Indec.
Come conseguenza, il debito in valuta
estera in un anno è cresciuto di 40,5 migliardi di dollari, ma senza un che a
esso corrispondano investimenti esteri di lungo periodo; l’afflusso di capitali
stranieri è stato utilizzato piuttosto per le spese correnti e investimenti
finanziari di breve periodo.
Infine, la risoluzione del “default
tecnico”, cioè l’accordo con i fondi avvoltoi (vulture funds) ancora in
peggiori condizioni per il paese, non ha implicato l’arrivo di un alluvione di
dollari freschi nella economia como Macri aveva promesso durante la campagna
elttorale. Senza risultati chiari in vista come l’arrivo di investimenti dall’estero,
il “country risk”, che pubblica la Banca JP Morgan, è peggiorato durante 2016.
L’apertura indiscriminata ai movimenti di capitali speculativi, la soppresione
dei controlli nella compra e vendita di valute estera e l’impainto di una
politica economica piacevole alle finanze globali non hanno portato il “country
risk” al inbasso sostanzialmente. In fatti, questo indice é salito da 447 a 450
ponti ed è ancora più alto di quello del Brasile (275), la Colombia (275), e la
maggioranza delle economie emergenti.
Nonostante, sostiene l’autore, “la fiducia, tuttavia, può richiedere anni per
essere costruita”. Ma, l’autore crede davvero che si può usare
quest’argomento della “fiducia” come se fosse un elemento soggettivo possa da
solo determinare effetti reali? Termini
come “fiducia” o “integrazione nel mondo globalizzato” sono delle banalità
sostenute in genere da chi non osserva seriamente i dati empirici e le
circostanze specifiche. Su
questa base ci domandiamo sulla base della lettura dell’articolo in oggetto se
l’autore conosce almeno qualche dato empirico reale relativo all’economia argentina,
oppure se il suo contributo è basato solo su concetti molto generici e
convenzionali applicabili indifferentemente a qualsiasi situazione concreta.
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